Intervista a Riccardo Comino
– a cura di Federico Medana –
Ora è il turno di Riccardo Comino, uno degli ultimi della “vecchia guardia” ad aver appeso le scarpe al chiodo. L’ultima stagione con la maglia della Virtus risale nella stagione 2018/2019 nel campionato di Serie C Gold con Michael Magagnoli coach. Riccardo ha iniziato a giocare a 15 anni nel 1990 nel settore giovanile, grazie a Massimo Raseni che è andato a citofonarlo direttamente a casa per portarlo a giocare a basket. Dopo l’esperienza di circa 9 stagioni con la maglia del Cuneo, Comino ha ancora fatto tre stagioni con i bianconeri, portando classe ed esperienza al servizio dei compagni.
Quali sono i ricordi più belli che hai avuto nella tua carriera da giocatore con la Virtus?
“Qualche mia prestazione buona la ricordo, ma il ricordo più bello è stata la risalita dalla D alla C Nazionale. L’anno precedente siamo retrocessi in Serie D e, pur essendo una “categoria bassa”, è stato bello vincere subito il campionato e tornare immediatamente in C. Altri ricordi belli sono qualche schiacciata da giovane e qualche azione singola, più che altro per soddisfazione personale, però soprattutto la partita contro Moncalieri in trasferta, ricordo il “cazziatone” del coach, perché eravamo sotto di 30 punti e quel match lo abbiamo vinto di otto punti; i nostri avversari erano andati in tilt completamente”.
Invece quali sono i ricordi più belli al di fuori dal campo?
“La compattezza della Società, il sentirsi importante, fare le trasferte con i pullman, con i panini sempre pronti preparati dai dirigenti e col medico sempre pronto; era una famiglia, al di la del risultato della partita. Ricordo con piacere Renato Bonino che era un’istituzione alla Comunale per il lavaggio delle magliette e ti sgridava tanto se ti dimenticavi di dargli la maglietta, ma come persona era super”.
Qual è stato il tuo compagno più particolare e stravagante che hai avuto?
“La persona più stravagante era Davide Longo: bravissimo giocatore, un playmaker esperto che faceva lo scrittore. Era stravagante perché viaggiava con una vecchia berlina e nel sedile posteriore del passeggero teneva sempre un manichino donna. Un’altra persona era Bussotti che da ragazzino scappava dalla finestra della sua casa per andare a fare due tiri a basket a qualsiasi ora della notte e del giorno”.
In tanti mi hanno detto che il rapporto col pubblico era fantastico. Confermi?
“Confermo assolutamente. La Comunale in quei tempi era sempre gremita di gente. Ricordo quando c’erano momenti, durante la partita, difficili a fine match i Carabinieri dovevano scortare all’uscita della palestra gli arbitri per la loro incolumità; in più ricordo anche in un derby contro il Saluzzo, c’erano dei momenti tesi tra le due tifoserie all’esterno della Comunale e qualche tifoso del Fossano ha chiamato amici, parenti e nel giro di pochi minuti sono arrivati circa cinquanta persone. Incredibile! Il bello era quando la gente in giro ti fermava e ti faceva i complimenti, in quel momento ti sentivi soddisfatto, un motivo in più per dare il massimo”.
Quale periodo della tua carriera vorresti rifare o cambiare?
“Vorrei rifare più di un anno della mia carriera, perché avevo dei compagni fantastici e con loro ero super legato come Mauro Sandrone, Roberto Viglietta, Flavio Lingua, Valter Nicola e Giorgio Aymar; con loro non ti pesava fare la trasferta lunga di 2/3 ore perché giocavamo a carte, si rideva e si scherzava e ti dovevi ricordare che non era una gita, ma che si andava a giocare una partita di basket. Mi sono trovato bene anche con coach Michael e le trasferte con lui erano belle, ma con gli altri ragazzi c’era troppa differenza d’età”.
Ti piacerebbe diventare dirigente o allenatore un giorno?
“Ora ho altri interessi. Non avrei più l’adrenalina di quando giocavo. Oggi per fare l’allenatore o il dirigente si hanno tanti “mal di pancia” e questi “mal di pancia” li ho già al lavoro; averceli anche da allenatore o da dirigente mi peserebbe non avrei voglia. Ma mai dire mai nella vita”.